Quanta politica (nascosta) nell’Eurovision Song Contest!

Ha fatto scalpore, al festival di Sanremo 2023, il fatto che il presidente ucraino volesse intervenire con un videomessaggio. Panico nella Rai. Oddìo, un irruzione della politica in una gara canora! Come facciamo, lo permettiamo, lo censuriamo? Dopo notti insonni, si è fatto creativamente all’italiana (bisogna ammettere che davanti all’imprevisto sappiamo sempre inventarci una soluzione originale): oltre alle fascia protetta, quella in cui ci sono i minori che non devono sentire parolacce e vedere nudità, si è invitata un’altra fascia protetta in cui i poveri cittadini minorati non devono sentire parlare di politica; ecco dopo questa fascia, abbondantemente oltre mezzanotte, quando oramai l’intero festival era stanco di se stesso, il conduttore ha letto la lettera (quindi non c’era manco il video) del presidente dell’Ucraina ai telespettatori irriducibili, concludendo con un “Ecco, io l’ho letta. Ora vedete voi”.

L’Eurovision Song Contest ha semplicemente detto ‘no’. Niente presidenti ucraini, non serve: tutto lo l’evento (magnifico) di Liverpool era costruito sulla solidarietà all’Ucraina. Punto.

Ma non per questo la politica era esclusa. No, ce n’era tantissima, come nella migliore tradizione dell’Eurovisione. Del resto, la gara canora internazionale tra Paesi che fanno parte dello stesso circuito televisivo, ma di blocchi ideologici o strategici diversi, e che poi si devono anche votare a vicenda, è una straordinaria occasione di diplomazia culturale in cui l’ideologia ha il suo buon posto. Quello che stupisce è che i conduttori e telecronisti (italiani soprattutto) facciano di tutto per nascondere questo aspetto al pubblico. In nome della Canzone e della Musica (con le maiuscole) si mutilano i significati, si nascondono i sottotesti e i ‘tra le righe’, si fa finta che gli artisti parlino di tutt’altro: in definitiva si travia il pubblico, ritenuto incapace di reggere il significato politico di un Paese che non sia il suo.

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L’unica via d’uscita che dobbiamo garantire a Putin è quella della sconfitta

Per amore del popolo ucraino, di quello russo e di tutti i popoli europei e del mondo, Putin non deve vincere. Non deve neppure sembrare che abbia vinto. Non deve avere alcunché oltre alla sconfitta e all’umiliazione del perdente. Ogni altra opzione ne farà un eroe nazionale per i russi, lo rafforzerà al potere, e tempo 2-3 anni avremo nuovamente altre città europee sotto i colpi della sua artiglieria.

Mentre ancora Mariupol resiste e Odessa scava trincee, mentre 2-3 milioni di donne e bambini ucraini fuggono dal Paese, e una decina di milioni di cittadini sono sfollati internamente, mentre le bombe piovono e il Cremlino annuncia falsamente nuove trattative, l’Occidente cerca una possibile “via d’uscita” per Putin, che gli permetta di “salvare la faccia” dalla trappola in cui da solo si è ficcato, per evitare che alzi il livello della violenza.

Si sta cercando insomma che cosa “dargli” perché si consideri vittorioso e la smetta con le bombe. Premetto che spetta unicamente agli ucraini dare o non dare qualcosa, spetta unicamente a loro decidere sulla loro terra, se vorranno vivere in una Ucraina tagliata a metà, con o senza Crimea, con o senza il Donbas, con o senza l’accesso al Mar Nero, neutrali o smilitarizzati. Noi dobbiamo appoggiare la loro scelta qualunque essa sia. Ma una cosa penso che possono e devono dire tutti gli altri: Putin non deve vincere; deve essere sconfitto!

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E noi, dove pensiamo che potremo scappare?

Un errore di WordPress mi ha rimandato indietro questa bozza dal futuro.

Ricapitolando: l’Ucraina è caduta; la Moldavia si è arresa; l’Ungheria si è dichiarata neutrale; Slovenia e Croazia sono state “attraversate”. Così come sono state attraversate dalle truppe di Putin le fortificazioni e le trincee che in fretta e furia abbiamo scavato sul Carso: quando le avevamo finite, metà della popolazione del Friuli Venezia Giulia era già fuggita in Veneto, E poi si è ritirato l’esercito (“non possiamo resistere in pianura”). E poi siamo scappati anche noi, con i trolley dalle dimensioni Ryanair, appena prima che facessero saltare i ponti sul Piave, nuova linea di difesa.

In Friuli Venezia Giulia, Gorizia-Nova Gorica sono rase al suolo, l’Isonzo trasporta corpi e macerie di una Capitale europea della Cultura; Udine viene evacuata sotto bombardamenti continui, Trieste isolata cadrà a ore; resistono ancora la base di Aviano, e i carnici: quelli non li tiri giù dalle montagne neppure con le bombe.

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