Smettetela con le cafe racer!

linux wallpaper – Royal Enfield SG650 (mio solo il color-grading)

…sì, parliamo di moto

Premessa: sono un “ordinario” possessore e guidatore di motocicletta, quindi pienamente titolato a esprimere opinioni sul mondo del motociclismo in generale.

“Ho in garage ferma da decenni la Bmw R45 di mio papà. La trasformo in una cafe racer!”. “La Shadow del ’97 l’ho customizzata per 10mila euro, ora la vendo”. “Mi è nata una figlia, la chiamerò ‘Scrambler'”.

Sono cose che si sentono sovente nella motosfera, un mondo dominato dall’apparire, non certo da comportamenti dettati dalla ragione. Così una persona che oggi vuole prendere una moto per usarla come mezzo di trasporto, senza dover vendere un rene, butta un occhio nel mercato dell’usato, e… all’istante viene sommersa di offerte di cafe racer, custom e scrambler. E se non usa un minimo di coscienza, rischia di fare un errore. Questi tipi di moto sono idee spesso belle e stilose, non dico di no (sono un amante del tipo ‘classic’), ma non sono quello che promettono. Ecco perché.

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È l’era della mobilità e del post-Pc, post-Laptop, post-Desktop, post-Privacy, post-Property. Insomma quello che ci vine proposto in questo momento è di usare dei dispositivi ultraportatili, pagare i contenuti, affidarsi al cloud-computing, ovvero far girare le applicazioni in remoto non più come proprietari che le acquistano, ma come semplici fruitori di servizio. Lo stesso post-Computer, di cui l’iPad è l’esemplare più noto, in realtà è solo un modo stiloso per vendere altri servizi. Ci propone di essere sempre connessi, ma a patto di pagare una particolare connessione, di leggere gli e-book, guardare filmati o ascoltare musica a patto di comprarli on-line, essere creativi e geniali scaricando le apps (programmi) che fanno cose creative e geniali. Se vogliamo espandere (attaccarci dispositivi USB!), migliorare il dispositivo o utilizzarlo in maniera non “convenzionale”, non si può.

Per quanto mi riguarda, ho preceduto la mobilità dell’iPad di almeno sei mesi con una macchina del dicembre 2008. Dovendo spesso scrivere pezzi sul campo, porto sempre con me un eeePc 901. Sopra ci gira Linux e tutto il mio ufficio è open-source. Vado on-line quando serve grazie a una chiavetta-internet (in assenza di wi-fi o cavo ethernet), mi attacco alle reti aziendali all’occorrenza. Skype, webcam e microfono sempre a disposizione. Non mancano prese USB e la scheda SD (per backup o per lavorare subito sugli scatti della macchina fotografica). I dischi allo stato solido permettono lo sbattacchiamento costante e una durata della batteria che copre l’intera giornata lavorativa (e spesso 2 o 3, visto che non ho mai bisogno del computer per 8 ore di fila). Del resto è un computer completo (di tastiera!!!) che pesa 1kg e mi è costato 180 euro usato.

Il mio è però un caso da pecora nera. Pur essendo il miglior netbook mai fatto, il 901 è stato bocciato dalla Asus (Linux non è stato apprezzato dagli acquirenti, e gli ssd erano troppo costosi al produttore). Così non ha avuto eredi: gli alti eeePc sono senza innovazione (WindowsXP, dischi normali, batterie da 3 ore di durata). Eppure di 901 con Linux non se ne trovano di seconda mano e quelli con Windows sono rari (il mio era uno di questi), il che vuol dire che chi ce l’ha se lo tiene ben volentieri. Tuttavia, il mercato si basa sui numeri delle vendite, poco importa se si compra per errore o se si è soddisfatti.

Insomma, per fare un’analogia televisiva, è la differenza tra indice d’ascolto e indice di gradimento. La Apple ci vive su questa confusione, parla di gradimento degli utenti e vende computer limitati a “melomani” compulsivi, per poi aggiornarli con la dotazione standard (prese usb, webcam, magari Flash un domani) e riproporli facendoli passare per miglioramenti rivoluzionari. Tutto è lecito, per carità, purché si sia consci che una cosa è comprare “l’Era della mobilità in touch-screen”, un’altra è comprare un computer che serve alle esigenze. I primi sono sogni e fanno quello che fanno i sogni; i secondi sono strumenti e fanno tutto il resto.