Direttiva copyright. L’insostenibile leggerezza dell’editore

Direttiva copyright. L’insostenibile leggerezza dell’editore

Di chi è veramente il lavoro non pagato? E chi non paga chi?

Non voglio discutere tutta la direttiva europea sul copyright appena bocciata: è troppo complessa. Voglio solamente ragionare su alcune posizioni a favore della direttiva, espresse dagli editori italiani (Fieg) che sostiene che il copia-incolla, gli snippet, e i link ai loro contenuti gratuiti pubblicati on-line sarebbero un abuso del lavoro altrui.

  1. Tolgano i contenuti gratuiti. Facciano come ha fatto, per esempio, il Manifesto o riviste internazionali come Foreign Affairs, e via. Così, nessuna condivisione non pagata.
  2. Tolgano i bottoni “condividi” dai siti.
  3. Tolgano dai propri siti le API per gli snippet, e i feed RSS per gli aggregatori.

I contenuti gratuiti non li producono gli editori, ma i giornalisti. Pensate che l’editore paghi tante volte il pezzo al giornalista quante viene pubblicato sulle testate del gruppo?
Ovviamente no. 
Se il giornalista scrive, per esempio, per il Piccolo di Trieste, lo pagano per questo, ma poi il pezzo può essere pubblicato anche sul sito, e su N testate e siti del gruppo Gedi a seconda dell’interesse. Il giornalista è però PAGATO IN VISIBILITA’… wow!

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#receptionism

#receptionism

I più grandi monologhi tedeschi iniziano con “Eine frage”
— miloz (2017)

Il tempo di capire che una persona sta cercando di comunicare con me, e la signora è già alla ristampa della seconda edizione. Dopo dodici minuti, in cui cercavo di interrompere la raffica agitando braccia, fogli e stracci bianchi in segno resa come un soldato francese inchiodato da una MG34, la signora, fortunatamente ignara della tecnica della respirazione circolare, fa per prendere aria. Piazzo un piede nella porta, e irrompo con uno spietato “Can you please explain in English?”. Panico, “Nein”.
Italiano? “Nein”.
Hrvatski, slovenski, česki? “Nein”.
Butto lì un temerario по русски. “Nein”.
中文? “Nein”.
JAVA, python? “Nein”.
Niente, deraglio la signora verso il mio collega di madrelingua tedesca, e torno a trascrivere le password del wifi. Che poi scoprirò essere nomi e cognomi di ospiti polacchi. (Cmq. con ‘grzeskiewicz’ mi ero connesso…).

Altri dodici minuti dopo, la signora abbandona soddisfatta la reception manco avesse ottenuto il controllo dell’Alsazia, e ovviamente lasciando la porta aperta. Modo suo per contribuire alla riduzione del riscaldamento globale, visto che la reception è climatizzata. “Madonna, quanto sono complicati i tedeschi”, commenta il mio collega. Cosa voleva? chiedo. “Sapere a che ora deve abbandonare la stanza”. Zehn uhr, KRISHTO, zehn uhr… lo sapevo!!!

Come mangeremo domani? – VI

Come mangeremo domani? – VI

La questione della produzione automatizzata è oramai entrata, prepotentemente, nell’ambito del discorso economico “mainstream”. Ma sono ancora poche idee per qualche soluzione praticabile.

Fino pochi mesi fa il giornale della Confindustria dava ampio spazio all’iniziativa “Industria 4.0”. Ora, chissà se per colpa delle condizioni non splendide in cui si trova Il Sole 24 ORE, si parla più dei probabili effetti nefasti sulla coesione sociale dell’automazione industriale, che certamente provocherebbe una perdita inappellabile dei posti di lavoro e del reddito per una grandissima parte della popolazione. Continua a leggere “Come mangeremo domani? – VI”

Come mangeremo domani? – V

Come mangeremo domani? – V

da: Punto Informatico

Gates: i robot-operai devono essere tassati

Il fondatore di Microsoft propone una tassazione per i dipendenti di ferro e chip. Analoga a quella dei lavoratori in carne ossa. Per gestire al meglio la transizione

Roma – I robot “rubano” il lavoro agli esseri umani? Almeno tassiamoli. È questo il pensiero espresso da Bill Gates durante una recente intervista. Si tratta di un approccio curioso alla tecnologia ma che potrebbe effettivamente avere risvolti positivi tanto per le aziende che per i lavoratori. Grazie ad una tassazione dei robot a carico dei possessori o dei produttori si innescherebbe un meccanismo di recupero di fondi, utili per essere impiegati per sopperire alla riduzione di posti di lavoro finanziando attività di welfare e incentivando la riconversione dei lavoratori verso mansioni differenti. Si pensi ad esempio alle professioni assistenziali a favore di bambini, anziani o meno abbienti: in questo caso il ruolo umano oltre ad essere riconosciuto è anche fondamentale. Continua a leggere “Come mangeremo domani? – V”

Come mangeremo domani? – IV

Come mangeremo domani? – IV

Certe cose dobbiamo, però, capirle invece di blaterale a vuoto di politica, anti-politica, liberismo, socialdemocrazia, destra, sinistra, ca**i e mazzi

  1. Dobbiamo capire che la politica si fa con i soldi, non con belle parole e men che meno con intenzioni nobili.
  2. Dobbiamo capire che i soldi per la politica si creano riempiendo la cassa con tasse sul lavoro, attività produttive e commercio.
  3. Dobbiamo capire che, se la produzione e i servizi vanno all’estero perché lì il lavoro costa meno, nel paese non ci sono più né imprese, né lavoro da tassare per riempire la cassa.
  4. Dobbiamo capire che i tagli alla sanità, all’educazione e alle pensioni NON riempiono la cassa.

Quindi, un buon politico, prima di promettere lavoro, strade pulite, scuole nuove, menotassepertutti, uscite dall’euro, politiche monetarie, legalizzazioni della marijuana, satelliti, Tav e ponti di Messina, dovrebbe – prima di tutto, ma veramente prima di tutto – trovare il modo di riportare imprese, fabbriche, call-center, cantieri, studi di design, centri di ricerca, acciaierie, petrolchimici, all’interno dei confini dello stato, per poter riempire la cassa che gli serve per poter fare politica. Continua a leggere “Come mangeremo domani? – IV”

Come mangeremo domani? – III

Come mangeremo domani? – III

Ci hanno provato gli svizzeri con il referendum sul “reddito di cittadinanza”, al cui la maggioranza ha detto ‘NO’. Ma almeno hanno sollevato la questione.

Il referendum promosso da un imprenditore di Basilea, Daniel Hani, e appoggiato da sindacati e altri imprenditori del ICT, si è proposto di introdurre il “reddito di cittadinanza” o meglio “reddito base universale” di 2500 franchi svizzeri per tutti.

La premessa per questa proposta, che qualcuno chiama “soldi in cambio di nulla”, è che grazie alla robotizzazione della produzione ai cittadini prima o poi rimarrà esattamente NULLA per poter conquistarsi un reddito. Grazie ai servizi dei robot e alle fabbriche automatizzate, li lavoro umano non ha più valore: la forza lavoro è sostituita dai mezzi di produzione intelligenti. Continua a leggere “Come mangeremo domani? – III”

Come mangeremo domani? – II

Noooo… niente slow-food, biologico e km0. Qua si continua a parlare del (non)lavoro!

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Intanto, per certificare che non sono (l’unico) matto, leggete qua:
– http://www.newyorker.com/news/news-desk/will-a-robot-take-your-job
– http://hyponymo.us/2013/01/29/100-percent-unemployment/

Eravamo rimasti che la situazione socio-economica attuale è un gradino — non saprei quale — verso la società in cui: a) le macchine lavoreranno al posto dell’uomo; b) i proprietari delle macchine guadagneranno; c) gli altri… si arrangeranno per mangiare.

Come ci si arriverà? Probabilmente non durante la notte, ma progressivamente tramite una riduzione del costo e della quantità del lavoro umano, che produrrà una riduzione di consumi di massa, che porterà a sua volta alla scomparsa del consumismo come modello economico.

Che senso avrebbe infatti produrre in massa per una popolazione che non può comprare? Inoltre la robotizzazione della produzione permette, sia di produrre quando serve e fermare la produzione — senza alcun costo — quando non serve, sia di produrre quantità limitate o persino esemplari unici di un prodotto senza alcuno spreco. Si pensi, per esempio, alle odierne librerie on-line, che stampano una copia del libro solo quando questa viene ordinata. Continua a leggere “Come mangeremo domani? – II”

Come mangeremo domani?

Non è un post dedicato all’alimentazione, né al food-blogging / food-porn. Qua si parla di lavoro!

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C’è una prospettiva drammatica che i migliori ideologi e filosofi contemporanei ignorano. O sono maestri indiscutibili su vecchi paradigmi (capitale-forza lavoro), declinati nelle scintillanti varianti post-moderniste che piacciono tanto agli editori e editorialisti; o fanno finta di ignorare il problema, nella speranza di tirare le cuoia prima del patatrac.

Si tratta di un tema in confronto a cui la Riforma Fornero e il Jobs Act renziano sono pari alla storia del fantasma formaggino. E’ questo: manca i lavoro, quindi mancano le fonti di reddito; che se magnamo stasera?

La mia (e non solo mia) impressione è che la crisi economica che ci ha segato le gambe non sia temporanea. Come in un matrimonio, la crisi può durare 1-2 anni, poi ci si ripiglia o ci si lascia. Ma dopo 7 anni vuol dire che si è trovato un modo nuovo per andare avanti. Quindi credo che già abbiamo intrapreso — ora un po’ più velocemente — una strada già inevitabile: la fine del lavoro. Continua a leggere “Come mangeremo domani?”

Cose che vorrei NON rincontrare nel 2015

Buoni propositi, speranze, auguri? No, semplici richieste (a Babbo Natale?) perché certe cose rimangano congelate nel 2014.

Nel 2015 vorrei intanto che l’Italia non avesse più un Presidente della Repubblica incapace di esprimersi senza che le sue parole debbano essere interpretate, tra l’altro, con risultati diametralmente opposti. E’ così difficile dire frasi semplici e chiare? Già sto male all’idea dell’ennesimo discorso di Capodanno di Napolitano. Spero che Natalino Balasso faccia il suo video in tempo.

Nel 2015 vorrei non rincontrare più “datori” di lavoro che chiedono ai candidati di essere “fortemente motivati”, “orientati al raggiungimento degli obiettivi”. Lo so, vana speranza, “Coltiva la tua personalità, condividi i tuoi interessi, diventa protagonista” dice il sito dell’Expo Milano 2015. Il resto della pagina è anche peggio. Continua a leggere “Cose che vorrei NON rincontrare nel 2015”

[Natale] Questo è la crisi

[Natale] Questo è la crisi

Il quinto hanno consecutivo della contrazione degli acquisti di regali natalizi ha oramai rivoltato i ruoli economici nel settore.

I Babbi Natale, che fino ad ora erano saldamente radicati nel terziario (servizio domiciliazione regali), ora per sopravvivere stanno scivolando nell’indotto del settore energetico. Sono infatti costretti a trasportare carbone, materia la cui richiesta è esplosa come alternativa al petrolio, per il quale però le slitte dei Babbi Natale non sono attrezzate.

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La scomparsa della filiera del regalo ha anche fatto esplodere il precariato prima, e poi la disoccupazione, tra gli elfi. Fenomeno sta diventando un problema sociale, se non di ordine pubblico. Secondo gli economisti a breve potrebbe innescarsi un massiccio fenomeno migratorio di forza lavoro elfica iper-specializzata fuori mercato, quindi di fatto generica a basso e bassissimo costo. Forza lavoro che già non ha mercato in Europa e Nord America.

Per ora l’occupazione delle renne è stabile, ma i sindacati dei trasporti lamentano un notevole peggioramento delle condizioni di lavoro, perdita di benefit e l’esplosione del lavoro straordinario obbligatorio non indennizzato. Tutto a scapito anche della sicurezza sul lavoro.

Ma la nuova attività dei Babbi Natale ha effetti devastanti in un altro settore, quello delle Befane. Sino a pochi anni fa avevano di fatto l’esclusiva nel trasporto del carbone. “Ora – lamenta una Befana – arriviamo all’epifania che il mercato è già saturo di carbone. Noi, che cosa dobbiamo fare?”.

Qualcosa possono fare, in realtà, anche le Befane: portare via i bambini. Lo sostiene il Dipartimento per le politiche della Famiglia, secondo cui così si potrebbe aumentare la produttività delle famiglie e si preserverebbe il potere d’acquisto delle stesse.