Noi europei capiamo più al-Qaeda che gli USA

Noi europei capiamo più al-Qaeda che gli USA

Le storie degli Stati Uniti d’America e dell’Europa sono radicalmente diverse. Quella dei primi nasce dalla separazione e dal rifiuto della storia della seconda. Quello che abbiamo in comune è un alto livello di egocentrismo, che ci permette di NON capire il mondo, e NON capirci tra di noi.

Noi europei, in particolare, non capiamo come le cose funzionano negli Usa. Non capiamo la loro economia il loro capitalismo. Che è radicalmente diverso da quello europeo. Liquidiamo tutto puntando il dito contro il “neo-liberalismo globale”, ma sono sicuro che pochi sanno cosa sia, Wall Street, la Fed, il Fmi…

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L’economia capitalista europea è nata dal feudalesimo. C’era il Re/Imperatore che era proprietario di tutto, e col tempo questa proprietà, e la società stessa, è diventata pubblica o privata. Pubblica per quanto riguarda lo Stato come istituzione e il patto sociale con i suoi cittadini; privata per quanto riguarda l’economia e il patto con la sfera produttiva. E questi due aspetti convivono. Lo Stato stesso è uno “stato nazionale”, basato sulla coesione etnica della popolazione, e ha più o meno la sessa sovranità e lo stesso potere sul cittadino che ha il monarca.

Gli Usa hanno rifiutato questo schema a cominciare dalla loro stessa nascita. Sono nati non come “nazione”, bensì come colonie dell’Impero britannico, popolate da varie persone fuggite dal Vecchio Continente a causa di persecuzioni religiose o in cerca di affari. Si ribellano contro l’economia imposta dalla corona britannica e giurano che nessuno Stato potrà impedire o limitare il cittadino. Che è esattamente l’opposto dell’Europa.

L’economia nasce e progredisce su iniziativa dei privati, non per concessione dello Stato o per grazia del Re. Lo stesso Stato americano serve per “tutelare l’iniziativa dei privati”, non per tutelare se stesso dai privati. L’esercito Usa è nato dai privati (tra l’altro, private significa soldato semplice), ed è presente ovunque nel mondo si debba tutelare un impresa americana. Questo è il liberalismo americano: tutti hanno diritto di provarci!

La radio e la Tv negli Usa sono nate private prima delle due guerre mondiali, in europa erano pubbliche fino ancora negli anni ’80. Il servizio idrico, i vigili del fuoco, la sanità, le scuole negli Usa e mille altre cose le hanno fatte i privati

Questo è una cosa inimmaginabile a noi Europei, e ci chiediamo come mai tutte queste cose non sono pubbliche come da noi. Perché da noi sono state rese pubbliche dopo che sono state tolte al Re. E come il Re si occupava dei propri sudditi, ora gli stati europei si occupano dei propri cittadini. Un obbrobrio, se visto con gli occhi statunitensi.

Ora, nonostante queste differenze polari, europei e americani sono amici, perché conviene, perché abbiamo avuto nemici comuni, perché siamo “gente civile”, ecc. Tuttavia entrambi nel nostro piccolo ci sentiamo superiori l’uno rispetto all’altro.

Gli europei pensano che gli Usa siano prepotenti e grezzi, non capiscono una banana, sanno solo usare la forza. Ma non ricordano volentieri che le due Guerre mondiali, il fascismo, nazismo sterminatore, il colonialismo i cui effetti ancora oggi insanguinano l’Africa e il Medio Oriente, sono tutti prodotti prettamente europei.

Gli Usa credono che gli europei siano vecchi e immobili, un continente che vive sul proprio cadavere culturale, e che con alcuni interventi ben mirati si può cambiare il mondo, creando un ambiente più amichevole. Ma “l’ingegneria geo e socio-politica” perpetrata in America Latina, Indocina, Medio Oriente, Cipro, Nordafrica, ha dato i frutti che sappiamo: tutti ODIANO gli Usa, oltre a odiare se stessi.

Paradossalmente, l’Europa capisce di più le ragioni di al-Qaeda e dei jihadisti contemporanei. Nei secoli abbiamo costantemente avuto a che fare con l’islamismo, anche fanatico e armato. Con l’intolleranza e la tolleranza religiosa; l’abbiamo combattuto e abbiamo trovato compromessi. La cultura islamica e quella europea si conoscono, o almeno si studiano reciprocamente da un millennio! Le stesse guerre di religione, tra l’altro, non sono un fenomeno estraneo alla cultura europea.

Anche in questo siamo differenti dal nostro partner statunitense, che avendo come inno “My Way” di Sinatra agisce e si getta nella mischia a testa bassa con un approccio pragmatico che ci sconvolge, non capendo la cultura islamica, l’estremismo jihadista, tanto quanto non capiscono “l’anzianità” e la “lentezza” europea. Eppure gli Usa, a differenza dell’Europa, hanno molti meno problemi ad accogliere in sé la cultura islamica. E quella europea.

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LIBERTA’ vs ORDINE – 1:0

rispettivamente “di informazione” e “dei Giornalisti”

La sentenza della cassazione mette in riga chi vuole mantenere o creare una zona di esclusività favorevole ai giornalisti nell’ambito dell’informazione (si veda il caso di cui ho scritto precedentemente). Questa volta le parole sono chiare: i siti internet e i blog non devono registrarsi come testate giornalistiche, se non vogliono accedere al finanziamento pubblico all’editoria.

Sembra quasi ovvio nel 2012, ma non lo è per niente. Finché la legge non sarà messa al passo delle nuove tecnologie e dell’evoluzione che queste provocano nella società, potremmo ancora avere casi in cui a chi scrive un trafiletto sul calcio su un sito di amici, magari dando puntuali aggiornamenti via Twitter, venga contestato l’abuso di professione giornalistica.

Secondo me, più che legiferare, bisognerebbe de-legiferare in materia di stampa e informazione, mantenendo solo la normativa su questioni tecniche-tecnologiche. E sarebbe ora di eliminare il finanziamento pubblico all’editoria privata e commerciale.

FNSI – Assostampa FVG

Per i notiziari web e per i blog diffusi su internet non c’è alcun obbligo di registrazione al Tribunale come testata giornalistica: ciò è necessario solo se intendono chiedere il finanziamento pubblico previsto dalla legge sull’editoria. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza di assoluzione del giornalista e saggista Carlo Ruta, autore di un blog che era stato condannato per il reato di stampa clandestina. Il punto è chiarito dalla motivazione della sentenza, appena pubblicata. Nel 2008 e poi nel 2011, in appello, la condanna di Ruta aveva suscitato apprensione e proteste nel mondo del web. La questione è stata ora chiarita in senso generale, perché la sentenza con la quale la III Sezione penale della Corte di Cassazione , il 10 maggio 2012, ha assolto con formula piena «il fatto non sussiste» il saggista Carlo Ruta, farà giurisprudenza. Questi i punti essenziali. La Corte ha definito il blog «Accadde in Sicilia» un «giornale telematico di informazione civile» e ha aggiunto che esso «non rispecchia le due condizioni ritenute essenziali ai fini della sussistenza del prodotto stampa come definito dall’art. 1 L. 47/1948 (Legge sulla stampa, ndr), in quanto per esserlo dovrebbero esserci i seguenti requisiti: «un’attività di riproduzione tipografica; la destinazione alla pubblicazione del risultato di tale attività». Carlo Ruta ha sottolineato il valore generale della sentenza che, a suo avviso, «susciterà sconcerto negli ambienti che mirano a limitare la libertà sul web, perché è difficile che ne sfuggano le implicazioni e il valore democratico che spero si traducano in una legge». L’avvocato Giuseppe Arnone, che ha assistito Ruta, ha commentato: «Questa sentenza, motivata con chiarezza ed essenzialità, è un fatto di portata straordinaria. Abbiamo ottenuto un risultato enorme per la libertà d’informazione, che è un cardine della democrazia. Ora siamo più liberi e internet è riconosciuto come strumento fondamentale per un esercizio maturo dei diritti d’informazione e di espressione».

Cerco lavoro

…qualsiasi, purché onesto e onestamente pagato


So che di questi tempi chiedo troppo, ma non ho altra scelta: sono disoccupato.

La professione e la professionalità accumulata in questi 11 anni purtroppo non ha più mercato (e dico mercato, non necessità), quindi il giornalismo per me deve essere declassato a hobby, piacere personale, tempo libero. Anche se ora, in questo preciso momento, non associo un sentimento di piacere al lavoro giornalistico. Forse è più passione, in senso cristico del termine. Ma passerà.

Mi ritornano in mente i consigli di qualche anno fa di colleghi anziani e qualche sindacalista: “Milos, trovati un lavoro serio e fai il giornalista per piacere”. Mio padre: “Vai in politica”. Eh… avessi dato loro retta allora. Invece ho deciso di essere Milos. Ed eccomi qua… sempre Milos.

Art.21, garantisce la libertà, non l’esclusività

Ecco caso esemplare su come, a furia di difendere la “libertà di stampa” l’Ordine dei Giornalisti si trovi a minacciare la “libertà di parola”. L’Art.21 della costituzione, spesso tirato in ballo dai giornalisti, garantisce la libertà di espressione e comunicazione. Pretendere di far passare l’informazione tra le maglie dell’Ordine dei Giornalisti, in realtà viola questa norma.

FNSI – Assostampa FVG

Nell’era degli smartphone e dei social network, i cittadini possono utilizzare la tecnologia per fare informazione e documentare fatti e notizie. Con una foto o un video amatoriale direttamente postati online, anche senza un tesserino dell’albo professionale. Eppure chi lo fa potrebbe rischiare una denuncia da parte dell’ordine dei giornalisti per esercizio abusivo della professione e, quindi, fino a sei mesi di carcere. Il caso nasce a seguito di un esposto dell’ordine dei giornalisti del Friuli Venezia Giulia che ha denunciato una web tv di Pordenone. Si chiama PnBox, non è una testata registrata e mette a disposizione una piattaforma in cui gli utenti possono caricare video autoprodotti che vengono trasmessi gratuitamente, e che includono anche notizie di cronaca e politica, oltre ad appuntamenti di musica, arte e cultura in città. L’accusa più grave per cui è imputato l’amministratore delegato Francesco Vanin, è quella di avere diffuso “gratuitamente notizie destinate a formare oggetto di comunicazione interpersonale specie riguardo ad avvenimenti di attualità, politica e spettacolo”. In pratica, quello che centinaia di blog e cittadini fanno abitualmente quando postano video e foto sui social network. Inoltre, in quanto responsabile delle trasmissioni sulla webtv, secondo l’ordine avrebbe svolto “attività giornalistica non occasionale diffondendo gratuitamente notizie destinate a formare oggetto di comunicazione interpersonale specie riguardo ad avvenimenti di attualità politica e spettacolo relativi soprattutto alla provincia di Pordenone”. Vanin, però, non ha mai svolto attività giornalistica. Ha solo messo a disposizione una piattaforma. L’odg pare quindi sostenere che soltanto chi è munito di tesserino può fare informazione e diffondere notizie. Nonostante la sentenza 1907/10 della Cassazione, secondo cui le pubblicazioni online di una testata non registrata non sono soggette alla legge sulla stampa. “Mi aspettavo la denuncia – spiega Vanin – come tutte le corporazioni, anche l’Ordine dei giornalisti cerca di mantenere le sue rendite di posizione. Già il fatto che esista ancora è un’anomalia tutta italiana, nonché un retaggio dell’era fascista”. Ma quel che secondo l’amministratore della webTv è più grave è che “in base ai capi di accusa che mi sono stati imputati, anche chi scrive su Facebook può essere denunciato”. In pratica, “se mio figlio posta un video su YouTube rischia sei mesi di carcere”. E aggiunge che la registrazione come testata non è obbligatoria per chi “rinuncia alle provvidenze statali”. Una scelta, quella di non ricevere contributi pubblici, ” per continuare a essere liberi e indipendenti”.

Per Enzo Iacopino, presidente dell’odg nazionale, “essere testata giornalistica è soltanto un adempimento formale. Non conosco la questione specifica – puntualizza –  ma se una piattaforma web trasmette notizie di politica e attualità con regolarità, allora si configura come canale informativo. Del resto che cosa fanno i giornalisti?”. Posizione peraltro condivisa da Pietro Villotta, presidente dell’ordine del Friuli che ha presentato l’esposto alla procura di Pordenone. “Non abbiamo nulla di personale contro Vanin e la sua tv – osserva – ma riteniamo che qualsiasi sito che si presenti ‘nella sostanza’ come informazione giornalistica debba rispettare la legge sulla stampa”. Una ‘sostanza’, però, senza confini e criteri chiari di definizione. “Esiste una zona grigia tra l’articolo 21 della Costituzione e la legge sulla stampa, dentro la quale rientrano blog e piattaforme online. Anche chi pubblica i video su YouTube fa divulgazione”. E se lo fa regolarmente, secondo l’ordine, è passibile di segnalazione, anche se tratta di “questioni aperte su cui deciderà il legislatore”. Per Villotta “tutto dipende dalla periodicità. Il nostro esposto è a tutela della categoria e dell’ordine. Se viene a meno la garanzia della legge sulla stampa siamo nella giungla”. Il citizen journalism è la ‘concorrenza sleale’ da condannare? “No. Ma se le piattaforme online, dalle web tv ai blog, fanno informazione continuativa, allora noi tuteliamo la categoria”.
Eleonora Bianchini, il Fatto Quotidiano

Senza lavoro

Ora è toccato a me: mandato via dal lavoro. O come si dice oggi “contratto non rinnovato alla scadenza”. Con me altri circa 15 tra colleghi giornalisti, conduttori-presentatori e tecnici-operatori tv. Sembra la fine del 2010, un’altra decina di colleghi erano “saltati” con i contratti non rinnovati. Il mal comune non funziona, inutile.

Che dire, sono colpito, ma non è per me nulla di nuovo. Nell’ultimo anno nei miei articoli e servizi mi sono occupato tantissime volte di persone che hanno rischiato o hanno perso il lavoro. Parlavo dalla sicurezza della mia precarissima e mal pagata posizione di giornalista co.co.co. Dietro lo scudo della “professionalità” che non bloccava però la solidarietà che provo per i lavoratori (è una forma mentis, per me lavoratore=mamma), e chi il lavoro l’ha perso. Solidarietà ora solo confermata dal fatto che ora sono nella stessa posizione esistenziale. Con la “fortuna” di non avere figli o una casa da mantenere, o un mutuo da pagare.

Perdere il lavoro dovrebbe essere una cosa eccezionale, ma non lo è più. Oggi si può rimanere disoccupati nonostante ci sia bisogno di lavoro, la ditta non sia in crisi, le proprietà macinino profitti e dividenti, la “casta” ingrassi, si faccia bene il proprio lavoro, e così via. Oggi il lavoro non è il fondamento della Repubblica, né è persone che lavorano, bensì una voce di bilancio, un costo che può essere sostenuto o tagliato. Non importa quanto si è bravi, quanto si sia investito nella propria professione, il percorso di studi fatto, e l’esperienza. Non sono voci di bilancio.

Non ho soluzioni da suggerire per questo stato, se non quello di eliminare per legge i contratti precari e obbligare quelli di dipendenza. Tanto ora il lavoro lo si perde lo stesso, quindi si provi. Nel mio mi arrangerò, mi riciclerò in qualsiasi lavoro che mi permetta di vivere. Non ho paura di sporcarmi le mani (purché non di sangue), né di reimparare tutto a 35 anni.

sub-Giornalismo: il quasi-contratto di meta-collaborazione

Nella mia modesta carriera di giornalista precario, non potevo credere quando i colleghi mi dicevano di essere pagati 3 euro lordi ad articolo. Fino a quando non mi sono state proposte le stesse condizioni.
Ecco il contratto di schiavitù collaborazione che ho ricevuto.

CONTENUTO NON ADATTO
A UN PUBBLICO SENSIBILE

Venezia Mestre, 20 maggio 2011

Egregio signore,

sentito il nostro Direttore, Le confermiamo che accettiamo la Sua collaborazione autonoma articolistica al nostro quotidiano “Il Gazzettino”.

Con decorrenza 20 maggio 2011 Le verrà riconosciuto, un compenso – di cui alleghiamo un apposito prospetto esplicativo che deve essere considerato parte integrante del presente accordo – per ogni articolo pubblicato e che deve ritenersi comprensivo di ogni spesa eventualmente sostenuta, nonché dell’eventuale diritto di pubblicazione su altre testate del gruppo e/o siti internet, ed al lordo delle trattenute contributive e fiscali secondo Legge.

Le confermiamo, inoltre, che la Sua collaborazione non dovrà, né potrà mai concretare un rapporto di lavoro subordinato né di collaborazione fissa di cui agli articoli 1, 2, 35 del vigente CCNL giornalistico né di corrispondenza come agli articoli 12 e 36 dello stesso CCNL in quanto Lei non intende assumere vincoli di dipendenza, né di subordinazione, né dì orario nei nostri confronti, sicché la Sua collaborazione potrà dar luogo esclusivamente ad un rapporto di prestazione professionale autonoma regolata, oltre che dai nostri accordi, dagli articoli 2222 e seguenti del c.c..

Ciascuna delle parti potrà recedere dal presente accordo in qualsiasi momento, dandone comunicazione scritta all’altra parte con un preavviso di 15 giorni, senza che ciò possa determinare alcun obbligo di risarcimento o indennitario per tale recesso.

Il presente accordo, che annulla e sostituisce ogni precedente intesa, si intenderà perfezionato con il ricevimento da parte dell’Azienda di copia della presente lettera debitamente firmata per integrale accettazione di quanto ivi contenuto.

Distinti saluti.

 

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Autopsia della Pace

Sezioniamo l’articolo 11 della Costituzione.

“L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali;”

Sembra abbastanza chiaro, ma è molto interpretabile. In via teorica è possibile fare una guerra economica o territoriale, senza offendere la “libertà di un popolo”. Anche quel richiamo alle “controversie internazionali” lascia aperta la possibilità a “controversie interne” di uno stato.

“consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni;”

Non dice né quali, né quanti altri stati paritari, e non dice neppure di chi si limita la sovranità (nostra, con la presenza delle basi Usaf o di un’altra entità, con l’occupazione tipo Afghanistan). Insomma, dice che passando per un accordo paritario tra stati, si può occupare un territorio. I concetto-obiettivo di “pace e giustizia” tra le nazioni è molto arbitrario (Iraq, Afghanistan… ma Arabia Saudita? la Birmania?).

“promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.”

Per ora queste sono Nato, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu, l’Onu, e un domani magari un Consiglio di Sicurezza dell’Ue… o qualsiasi altra organizzazione internazionale “rivolta a tale scopo” (pace e giustizia tra le nazioni).

Quindi: l’Italia non ripudia la guerra a prescindere.

Nel caso concreto della Libia, credo che l’Italia abbia fatto una figura di merda colossale che ora sta cercando di “lavare col sangue”: per interessi economici di alcune aziende, l’intero paese si è fatto umiliare da Gheddafi.

Questo succedeva neppure un anno fa!

Né Napolitano, né La Russa, né Berlusconi mi parlino quindi di “orgoglio nazionale”!!!

La “comunità internazionale” fa di peggio. Si parla di “favorire la libertà dei popoli”, ma si pensa a interessi geostrategici. La Francia (già presente in Ciad) e Regno Unito vogliono tornare potenze imperiali, soprattutto in Africa. Gli Usa non hanno interesse a impedirglielo (come hanno fatto durante la de-colonizzazione) perché ad allungare la mano sul petrolio africano questa volta è la Cina.

Se la libertà dei popoli fosse almeno un “danno collaterale” della “tutela” degli interessi economici, tutti saremmo più felici. Ma non è così. Solo contro Gheddafi è stato utilizzato l’argomento “impedire la repressione”, organizzando un urgente intervento militare quando era oramai chiaro che il fronte interno stava crollando. Nessun intervento, neppure a parole (come è successo con Mubarak) contro le monarchie e i governanti assoluti in Bahrein, Arabia Saudita, Siria, Kuwait, Yemen, dove i popoli chiedono democrazia e vengono repressi da “tiranni amici”.

Internet vs/& TV

Internet è un medium importante. Grazie a strumenti come Facebook, Twiter e Youtube ha raggiunto un potere mobilitante dell’opinione pubblica straordinario. Sempre più manifestazioni sono convocate tramite questi siti, tanto che spesso il potere cerca di bloccare l’accesso a Internet o filtrarne il contenuto, nel (vano?) tentativo di bloccare la mobilitazione dentro e fuori il paese. Cina, Iran, Bielorussia e Cuba sono esempi dove il blocco della Rete è efficace: l’infrastruttura è governativa.

Egitto, Palestina, Libia e Russia sono esempi che mostrano come il blocco non sia (stato) efficace, perché i governi non hanno il controllo diretto degli operatori. E quando milioni di gocce si mettono in testa di piovere, prima o poi ti bagni, l’acqua passa.

Tuttavia, quando le cose si fanno dure, a farla da protagonista è sempre lei: la televisione. Anche negli ultimi eventi nordafricani, la vera svolta è iniziata quanto del troupe televisive di Al Jazeera, Bbc, ecc. hanno cominciato a trasmettere gli eventi di piazza, magari ritrasmettendo i contenuti web, dando in un certo senso credibilità giornalistica agli stessi.

Ricapitolando. Per i governi cattivi e corrotti è praticamente impossibile controllare la generazione del dissenso sul web, ma sì la sua trasmissione sulla Rete. E’ invece possibile controllare la troupe televisive (origine dell’informazione), non invece la sua trasmissione (una volta in etere, bye-bye!).

Siccome tutti vogliamo libertà di espressione e democrazia, abbiamo quindi bisogno di due cose. Primo, foto e videocamere portatili capaci di sparare direttamente sul satellite, messo a disposizione dai grandi network televisivi mondiali, che così si assicurano materiale di prima mano. Secondo, internet senza fili a lunga distanza, ovvero una rete DNS/Router che non abbia bisogno di cavo, ma che con alcune paraboliche ben orientate sia capace, per esempio, di superare il canale di Sicilia, il mare Adriatico, o lo stretto di Hormuz.

La verità è rivoluzionaria

Le testate giornalistiche italiane, a 2-3 gironi dall’inizio dei casini in Libia, hanno riempito le prime pagine con titoli del tipo “L’aviazione libica bombarda i manifestanti”, “10 mila morti in Libia”, “1 milione e mezzo di profughi verso l’Italia”. Non dico che le cose citate siano false, ma i media nostrani non hanno verificato queste notizie… perché non hanno potuto, non c’erano testate indipendenti!

Hanno quindi messo queste rivelazioni così drammatiche tra ridicole virgolette, ovvero in bocca a qualche fonte locale, parandosi il culo lavandosi le mani. Pur di vendere qualche copia in più, si pubblicano non-notizie basate su non-verità.

Ritengo molto poco probabile che queste illustri testate non si ricordino delle manipolazioni di notizie in situazioni analoghe, per esempio in Romania durante la caduta di Ceaucescu o durante le guerre balcaniche. Gli stessi giornalisti pubblicano libri su questi casi.

Da parte libica, chi vuole buttare giù un tiranno per creare una società migliore e più libera, non fa un grande affare se lo fa usando notizie false, pompate, manipolate o semplicemente non verificate/verificabili. La verità è la migliore alleata della libertà, per quanto scomoda sia. Altrimenti non si fa altro ricreare un nuovo regime basato sulla falsità.

Disgustosi abbinamenti

Come è figo lavorare con Wind business… poi la fuga degli stranieri dalla Libia!
Che buoni i biscottini Oro Saiwa… poi un po’ terremoto con morti e feriti in Nuova Zelanda!
Che bella la vita di famiglia con i sughi Barilla… poi un po’ di fosse comuni e sparatorie a Benghazi!
Menomale che c’è’ la Coop che pensa a noi quando i prezzi aumentano… poi un po’ di inneggiamenti al rais Gheddafi!

Sono i paradossali abbinamenti che si possono ammirare in queste ore nei servizi CorriereTV. E’ un lampante esempio di sensibilità occidentale verso i guai della costa sud del Mediterraneo.

Un consiglio: se navigate con Firefox, usate Adblock Plus.