
Il Papa non può essere altro che Papa. E’ capo della Chiesa Cattolica, che ha le sue regole, i suoi precetti e i suoi luoghi di culto nei quali ha potere.
Per dire, se il Papa decide che non si possono celebrare i matrimoni omosessuali in chiesa, è suo diritto in quanto “è casa sua”. Gli interessati e le interessate hanno il diritto di riflettere sulla loro fede cattolica in quanto questa chiesa evidentemente non li vuole. E’ triste, ma il Papa come capo della chiesa, il Vaticano come cuore e cervello del cattolicesimo, sono il succo di questa confessione.
Quando però il Papa esonda dalla sua confessione, nascono i problemi. Non solo perché usa il suo potere in “casa di altri” (non o “diversamente credenti”), ma anche perché le sue opinioni, dette ad altissima voce, offendono e creano conflitto. Minacciano la convivenza sociale.
Fino a pochi anni fa i canali di comunicazione favorivano l’unidirezionalità del discorso: il Papa parlava, il popolo ascoltava, chi non era d’accordo non si sentiva (non aveva voce). Non è più così.
Benedetto XVI ha fatto un grave errore strategico nel portare le sue idee omofobe in un mondo di social network. Su Twitter l’unidirezionalità non esiste, non è possibile. Lì il @Pontifex è un utente come gli altri. Il Papa sicuramente non leggerà le migliaia di repliche e critiche che gli arrivano quotidianamente, ma le leggono tutti gli altri utenti. Discutono, litigano, volano insulti. Lui non partecipa: lanciato il tweet, ha nascosto la mano.
Altra questione: le reti sociali, essendo fatte per tutti su questo pianeta, non tollerano molestie, insulti, offese e discriminazioni di alcun tipo. Si chiama netiquette. I primi a farne le spese saranno quelli che insulteranno @Pontifex. Poi il egli stesso, quando le persone inizieranno a segnalarlo perché offese dalle sue esternazioni.
Se c’è una cosa positiva dal Papa su Twitter, è che su questo social non ha potuto portare la sua “Santità”. E’ solamente umano, un utente, tra l’altro, piuttosto mediocre come fantasia, creatività e partecipazione.
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