Covid-19, un dono (letale) dal cielo a un’umanità persa

Un dono dal cielo. Un segno divino, della provvidenza, di qualcosa di più grande. E’ sembrato un po’ così ‘sto coronavirus in un primo momento, quando ci ha fermati, bloccati in casa, interrompendo un’umanità persa, rassegnata, indaffarata, distratta, disumanizzata. Costringendoci tutti a guardarci dentro, a ragionare su cosa stiamo facendo e cosa per noi conta davvero.

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Era di nuovo accanto a me, sul muretto delle scale, con il suo sguardo curioso che sembrava sempre dire “e adesso che si fa?”. Una ragazza di cui mi ero follemente innamorato durante gli ultimi giorni di un pallido inverno. Pallido come il suo giubbotto imbottito di nylon azzurro. Giorni in cui insieme abbiamo imparato a fumare le prime sigarette, con la sua voce squillate che improvvisamente si faceva più profonda. E poi a tossire. Giorni in cui ero pronto a fare di tutto. Tranne dirle il mio amore. Ero già un tordo senza speranza.

Ed eccola nuovamente qui, uguale. “E adesso che si fa?”, sempre lei con lo sguardo. No, questa volta non mi lascerò sfuggire l’occasione, di far scattare la primavera, con le farfalle, i fiori, i freddi profumi. Il tabacco (tra l’altro di pessima qualità). Le seconde occasioni sono sempre le ultime, questo ho imparato in questi anni. Le prendo la mano lentamente. La sua ha un tic, ma si ferma subito, si lascia prendere. Come per dire “e adesso che si fa?”. “Senti”, le dico trovando il suo sguardo che già sapeva tutto. Ma il rituale va portato a termine, e stranamente le parole nella mia testa sono pronte, allineate e coperte. “Senti. Tu mi pi…”. “PI-PI-PI-PI-PI!!! PI-PI-PI-PI-PI!!! PI-PI-PI-PI-PI!!!”, e mi ritrovo sbavato sul cuscino proprio nel momento più… cavolo!

Ora, io non sono un complottaro, complottomane o che ne so. Però ditemi voi se è o non è questo un chiaro caso di sveglia a orologeria!

Sulla libertà di parola

Notte inoltrata, un ragazzo sulla trentina abbastanza muscoloso passeggia con il cane, un incrocio tra boxer e qualcosa di più elegante. Il marciapiede deserto corre tra le macchine parcheggiate e le palazzine di un quartiere poco curato. Degrado che la debole luce gialla dell’illuminazione pubblica nasconde un po’.

Il cane si ferma sull’angolo di un laboratorio di unghie chiuso da chissà quanto, annusa un po’, e fa una pisciatina. Il ragazzone estrae dalla tasca posteriore dei jeans una bottiglietta verde con acqua e qualche detergente, e lo versa su dove il cane ha bagnato. Civiltà! Proseguono. Cinque-sei metri, e il cane nuovamente si ferma, e con lui il padrone, attratto questa volta dall’armadietto grigio della Telecom.

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Subito!

Subito!

Questa cosa dell’attenzione, della disattenzione
Degli sguardi vaghi, dispersi in non luoghi
sfocati e sottoesposti
Del venire per mancare, dello stare per non esserci
del non esserci perché si materializzi il vuoto
Del tramare noncuranza, del coltivare la fuga
del coprire la ritirata
Dell’osservare con la coda dell’occhio
Del rimanere gelati con la coda tra le gambe
Dello strozzarsi per non dire, del fingere di non sentire
Questa cosa
questa cosa deve finire.

Bosone di Miloz?

Bosone di Miloz?

L’IDENTITÀ è una specie di “bosone di Higgs” sociale, una specie di “campo” che conferisce “etnicità” all’individuo.

Così se mi muovo in Serbia vengo percepito più come croato; in Croazia un po’ più serbo; a Trieste sono slavo e per molti sloveno; in Friuli sono più triestino; per i veneti sono istriano; in Italia sono balcanico; in Medio Oriente sono italiano. Per una mia ex datrice di lavoro ero albanese, per un mio ex compagno di scuola ero “talijano”, e così via.

Io sono sempre io, ma la mia “etnicità” cambia a seconda del “campo identitario” in cui mi muovo. Quindi…

Disclaimer: il titolare non è responsabile della propria appartenenza etnica, né degli eventuali danni a terzi che ne potrebbero derivare.

Il giudizio universale unidimensionale

Il giudizio universale unidimensionale

Poteva Trump non stupire anche i suoi sostenitori, dopo che dell’imprevedibilità ha fatto la sua bandiera? Certo che no. E allora perché gli eurotrumpiani si stupiscono? Perché ragionano unidimensionalmente.

Buono o cattivo. Pro-Putin o anti-putin. Nostro o terrorista. Chiamatelo estremismo, massimalismo, radicalismo o come volete, ma la caratteristica delle menti deboli è che, essendo troppo difficile ragionare in un mondo complesso, riducono ogni questione a una sola dimensione — di qua o di là — e con i loro mazzetti di giudizi unidimensionali credono (cercano) di capire l’Universo.

Trump è amico di Putin. Putin è l’unico che combatte contro il terrorismo. Assad è l’unico che combatte contro l’ISIS. L’Unione Europea è un fallimento. La Brexit salverà il Regno Unito. ecc. ecc. ecc. Sono tra le frasi più semplici che si possano concepire in una lingua (“A è B”), e per questo sono efficaci nella comunicazione, ma nello stesso tempo sono talmente semplificatorie da non corrispondere affatto alla realtà. Continua a leggere “Il giudizio universale unidimensionale”