[2014] Obama e Putin ci stanno “salvando” dalla globalizzazione

*** originariamente pubblicato sulla fu Newsagenda.it il 05/09/2014
*** prima di Trump e del "sovranismo"

 AVVERTENZA 1: ragionamenti altamente speculativi

AVVERTENZA 2: testo lungo

La crisi in Ucraina e la dura escalation diplomatica tra Russia e Nato, in corso da mesi, suggeriscono che siamo ritornati a un clima da Guerra fredda.

L’uscita da questa situazione non sembra immediata, perché sono già state intraprese azioni gravi:

  • espulsione della Russia dal G8;
  • cessazione della “Partnership per la pace” Russia-Nato;
  • sanzioni economiche di Usa, Ue e altri paesi dell’Occidente;
  • contro-sanzioni economiche della Russia;
  • demonizzazione mediatica reciproca;
  • affermazione di inderogabili principi strategici (Putin: “L’Ucraina non potrà mai entrare nella Nato. L’attacco alla Crimea è attacco alla Russia”; Obama: “L’Ucraina deve essere libera di scegliere se aderire alla Nato. Non riconosceremo mai l’annessione della Crimea alla Russia”);
  • dispiegamento di unità militari pesanti sui confini Nato-Russia;
  • violazione di trattati internazionali (su armi nucleari e integrità territoriale ucraina; sulla non espansione della Nato nei paesi ex-sovietici; sul ritiro di armi nucleari a corto raggio; sullo scudo anti-missile in Europa; ecc);
  • violazione di contratti economici (esportazione di gas dalla Russia; blocco del gasdotto South-Stream nell’Ue; consegna di navi militari russe costruite dalla Francia).

Non è possibile sapere se quella di tornare a un confronto tra blocchi sia una precisa volontà di Putin e Obama, sostenuta dai loro esperti di strategia globale. Ipotizziamo che possa essere così, la domanda conseguente sarebbe “Perché mai lo vorrebbero fare?”.

Risposta sintetica: per salvare il mondo dalla globalizzazione!

E’ una provocazione? Non del tutto.

Ragioniamo sul periodo che va dalla fine della Guerra fredda fino a oggi. Notiamo che l’azzeramento dei confini geo-strategici, e il conseguente crollo delle ideologie, hanno lasciato di fatto campo libero alla supremazia dell’economia, in ogni ambito dell’umano e non-umano sul pianeta. E’ quello che chiamiamo globalizzazione.

Non c’è questione che non si fondasse su esigenze e meccanismi economiche globali. Privatizzazioni a 360°, persino dell’acqua; sicurezza nazionale e internazionale, armamenti, guerre e ricostruzioni, tutte in mano a compagnie private; concetti come istruzione, cultura, lavoro, salute, giustizia, pericolosamente piegate su esigenze di compagnie economiche e finanziarie private, non invece sulle esigenze della popolazione; gli stessi stati (dagli Usa, alla Russia, ai membri Ue, per non dire quelli africani e sudamericani) quasi totalmente assoggettati a istituzioni bancarie e finanziarie su cui non hanno controllo; la stessa economia globale è finita per fondarsi principalmente sulla finanza (leggi speculazione) e non sull’economia reale (leggi domanda-offerta).

In questo marasma ci sono anche aspetti positivi. Per esempio, tutti siamo liberi di diventare “capitalisti” acquistando le azioni, obbligazioni, quote di aziende presenti sul mercato globale. Unico limite la nostra disponibilità economica: razza, casta, nazionalità, religione, orientamento politico, morale, sessuale, ecc., non contano nell’economia globale.

La finanza crea soldi “dal nulla”, ma quando vengono spesi in start-up, ricerca e innovazione, educazione, cultura, salute, aiuto ai poveri, il loro effetto è molto reale. Anche per questo abbiamo oggi Internet, la Rete globale: la sua tecnologia era disponibile dagli anni ’70, ma in un contesto di Guerra fredda stava ferma lì, nelle università americane.

Gli stati, assoggettati a vincoli bancari-finanziari (debito pubblico), non sono più liberi di fare guerra perché un giorno il governante di turno s’è svegliato male e ha deciso di invadere la Kamchatka con i carriarmatini rossi. L’industria della guerra in mano ad aziende private è diventata costosissima e gli stati hanno dovuto risparmiare, riducendo arsenali, le dimensioni degli eserciti, investendo più sulla “qualità” che sulla “quantità”.

Dall’altra parte gli stati non sono più liberi di fare alcunché, se non c’è una ricaduta positiva dal punto di vista economico. E’ la morte della politica: prima si saldano i conti con i creditori, poi pensiamo alle esigenze dei cittadini. E’ la morte delle ideologie, delle prese di posizione, dei valori. Sì dei valori immateriali, della fede! L’economia si è posta come fondamento del mondo, e qualsiasi cosa facciamo, siamo sempre dentro un gioco economico. Che si parli di scelte ecologiche o di finanziamento di gruppi terroristici.

Dove ci ha portato questo? A vivere in un mondo senza centro, e senza bussola. Molti se la cavano a vivere così, a non poter sapere cosa ci aspetta domani, se ci sarà un domani: il futuro è una cosa da inventare. Ci siamo noi e le nostre forze, il resto non serve.

Ma credo che la maggior parte delle persone abbia bisogno di un futuro da realizzare, fondato su una “narrazione” (mi scuserà Vendola) precedente. Che questa gliela dia una ideologia politica, una religione o una teoria complottistica, non importa: devono sentire che quello che fanno e quello che vivono ha una direzione, un obiettivo, che serva a qualcosa. E’ una situazione mentale che permette di prendere una posizione, pro o contro qualcosa, e passare all’azione.

Non c’è da stupirsi quindi che oggi i terroristi dell’ISIS stiano raccogliendo proseliti anche in Occidente. La loro è una “narrazione nazista”, un punto di riferimento possibile e concreto (califfato), in un Islam affetto anche lui dal “principio di indeterminazione” della globalizzazione. L’ISIS è la risposta al fallimento di al-Qaeda: decentrata dall’Afghanistan all’Africa, è sì una rete inafferrabile e imbattibile, ma incapace di costruire alcunché, non ha un obiettivo se non una eterna lotta (trotzkismo jihadista?) contro un Occidente altrettanto decentrato e imbattibile.

(Su questo punto è illuminante il racconto “Deutsches Requiem”, contenuto in L’Aleph di Jorge Luis Borges)

In questo contesto sinistra e destra hanno perduto il loro senso di esistere. Costruite sull’antifascismo e anticomunismo, oggi nessuna delle due macro-ideologie ha un obiettivo. Insegnano a schierarsi e a combattere, ma non c’è più un nemico esterno. Quindi si simulano scontri ideologici, pur di non fare un auto-esame di coscienza ideologico e scoprire che oggi tutto questo non ha alcun senso.

La stessa economia globale sta morendo di globalizzazione. Senza grandi obiettivi che diano un senso all’umanità, a che servono grandi economie? La tendenza all’arricchimento personale di pochi ha dato vita a una specie di edonismo speculativo globale. Ma il super-ricco può godere della sua super-ricchezza al massimo per 50 anni; è pur sempre un obiettivo piccolo, piccolissimo, per non dire miserabile.

Le economie basate sulla finanza globale procedono (recedono?) tramite cicliche creazioni ed esplosioni di bolle speculative, durante le quali qualcuno si arricchisce (speculatori), altri si impoveriscono (economia reale). E’ tutto quello che la globalizzazione ha dato sinora: un sistema insostenibile e disfunzionale di ridistribuzione della ricchezza, che accresce il numero degli speculatori riducendone i guadagni.

Nell’economia reale, invece, sembra che negli ultimi 20 anni si sia smantellato più di quanto si sia costruito. L’analogia calzante è quella di una stella morente: consumando il proprio combustibile nucleare, entra in ciclo di implosioni ed espulsioni di massa. Alla fine rimane una nana bruna (stella morta).

Decidendo (è sempre un’ipotesi) di tornare alla Guerra fredda, Putin e Obama ribaltano lo stato delle cose, e rimettono la politica come fondamento dell’economia globale. In pratica dicono: “Cara globalizzazione, la festa è finita, ora tu farai quello che ti diciamo noi”.

Contemporaneamente riattivano la polarizzazione ideologica del pianeta, che permette a tutto (dall’economia, alla cultura, alla politica regionale) di riavere una bussola che indica una direzione. Un confronto strategico tra Russia e Nato già sta facendo ripartire la corsa agli armamenti. E’ un obiettivo per l’industria e per l’economia di entrambi i blocchi. Bisognerà cercare nuove risorse e nuovi mercati perché ora alcuni sono preclusi.

Con un nemico sulla soglia di casa, entrambi hanno degli obiettivi da realizzare: compattarsi, saldare nuove alleanze, avere un confine per le proprie azioni da abbattere. Ogni azione internazionale smetterà di essere unilaterale, ma tornerà essere declinata nel binomio del confronto tra blocchi. In questo senso il terrorismo dell’ISIS e di al-Qaeda torneranno nel buio dal quale provengono, perché anche su di loro peseranno le esigenze strategiche di Nato e Russia, punti di riferimento più importanti.

Non sarà tutto rose e fiori. Ci potranno essere nuove reciproche destabilizzazioni, nuovi focolai di guerra locale (non che la globalizzazione ce ne abbia risparmiati), terrorismo, scontri ideologici, riduzioni delle libertà, ricadute su tutto quello di bello che gli ultimi vent’anni c’hanno dato. Riavremo di nuovo la minaccia di una guerra nucleare globale, e la paura che un psicolabile si metta a giocare con i missili balistici.

In cambio potremmo avere un analogo progresso economico e sociale che ha caratterizzato il periodo della Guerra fredda. Prendere o lasciare? Non è una scelta che ci compete. Basta un “grazie”.

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