Di chi è veramente il lavoro non pagato? E chi non paga chi?
Non voglio discutere tutta la direttiva europea sul copyright appena bocciata: è troppo complessa. Voglio solamente ragionare su alcune posizioni a favore della direttiva, espresse dagli editori italiani (Fieg) che sostiene che il copia-incolla, gli snippet, e i link ai loro contenuti gratuiti pubblicati on-line sarebbero un abuso del lavoro altrui.
- Tolgano i contenuti gratuiti. Facciano come ha fatto, per esempio, il Manifesto o riviste internazionali come Foreign Affairs, e via. Così, nessuna condivisione non pagata.
- Tolgano i bottoni “condividi” dai siti.
- Tolgano dai propri siti le API per gli snippet, e i feed RSS per gli aggregatori.
I contenuti gratuiti non li producono gli editori, ma i giornalisti. Pensate che l’editore paghi tante volte il pezzo al giornalista quante viene pubblicato sulle testate del gruppo?
Ovviamente no.
Se il giornalista scrive, per esempio, per il Piccolo di Trieste, lo pagano per questo, ma poi il pezzo può essere pubblicato anche sul sito, e su N testate e siti del gruppo Gedi a seconda dell’interesse. Il giornalista è però PAGATO IN VISIBILITA’… wow!
Quindi il lavoro gratuito è quello dei giornalisti, e non viene pagato proprio dagli editori. Che però, che nobiltà d’animo!, denunciano che “il lavoro altrui non viene pagato”.
L’argomento che ho sentito — “se gli aggregatori pagassero per i contenuti che usano, gli editori potrebbero pagare di più i giornalisti” — non regge. Gli editori hanno iniziato a deprezzare il lavoro giornalistico molto prima della comparsa degli aggregatori, quando hanno capito che potevano far riempire i loro siti di contenuti a chiunque, gratis o per un euro e un bottone. Tutto il discorso si estende analogo a fotografi, video-operatori e designer delle redazioni.
Poi…
Se le testate dell’editore pubblicano loro stesse i link e gli snippet sui social, che è un servizio gratuito, chi dovrebbe pagare chi? I social devono pagare gli editori, per i loro contenuti “utilizzati”; o gli editori devono pagare i social, che “ospitano” i loro contenuti?
E se, come capita oramai quotidianamente, le notizie delle testate vengono costruite prendendo a man bassa video, foto e post pubblici direttamente dai profili social, la testata dovrebbe pagare il social? Dovrebbe pagare il proprietario del post? Ovviamente no, secondo gli editori: è pubblico, è diritto di cronaca.
Se io sul mio aggregatore prendo degli snippet, e pubblico i link, non mi sto appropriando del contenuto. Lo sto citando, sto invitando alla sua lettura, sto facendo pubblicità ai contenuti. Posso pretendere di essere pagato per questo? No, secondo gli editori che invece vorrebbero essere pagati loro. La VISIBILITA’ non è moneta valida!
Se il visitatore dell’aggregatore decide in autonomia di non cliccare sul link, ma si accontenta di leggere il titolo, è colpa dell’aggregatore? Del titolista? Della concorrenza che fa titoli migliori? Del tempo tiranno? E le rassegne stampa, in Tv, radio, on-line? Sono un abuso o una pubblicità ai contenuti degli editori?
Ma cos’è poi un contenuto? E’ il testo? E’ l’immagine, il video? E’ tutto il post? E’ lo screenshot? E’ l’aggregatore o il sito stesso? Il contenuto nel contenuto nel contenuto nel contenuto nel contenuto, a chi appartiene?
Ebbene, checché se ne dica, l’economia della VISIBILITA’ esiste eccome e funziona molto bene, seguendo il principio del valore aggiunto: ognuno prende un pezzettino di qualcosa, lo riconfeziona, ci aggiunge qualcosina, lo pubblica, ci mette la propria pubblicità accanto e scommette sulla VISIBILITA’. Dal gruppo editoriale, alla testata on e off-line, ai social, all’aggregatore, al blog personale, il meccanismo è lo stesso. Viene premiato chi fa questo lavoro meglio.
Come si vede, ci sono molte domande bizzarre che emergono in ogni direzione. Tutto questo senza aver neppure nominato la libertà di accesso, comunicazione ed espressione, che non sono temi meno problematici. Non è un caso che la direttiva sia stata rimandata.
Personalmente considero un diritto essenziale quello di poter raggiungere tutto ciò che è on-line (nei limiti del codice penale). Se gli editori non vogliono che i loro contenuti vengano condivisi, non li condividano loro per primi, o non li pubblichino on-line affatto. Se non vogliono perdere il controllo delle copie digitali di giornali e libri, spendano un po’ di più in crittografia o pubblichino solo in cartaceo! Io sono decisamente per quest’ultima.