Nel momento in cui tutti ci levavamo in difesa della libertà di satira ed espressione, mentre morivano i dipendenti del Charlie Hebdo, e i clienti del Casher, moriva nuovamente la verità, moriva il giornalismo. A ucciderlo gli stesi organi di informazione e le autorità, che hanno diffuso notizie false.
Si è parlato da subito di tre attentatori al Charlie. Sono saltati fuori tre identità, e tre carte di identità sono state pubblicate… “perse dagli attentatori in automobile”. Uno di questi era un diciottenne che al momento del fatto era a scuola. “Ah, sarà un omonimo”. E la sua carta d’identità trovata in auto e pubblicata? “No, solo una carta d’identità è stata trovata in auto”. Allora da dove è saltata fuori e perché è stata data in pasto dei media l’identità del diciottenne, quando poi neppure c’era il terzo attentatore?
Identificati i due attentatori, noti alle autorità, ai servizi segreti di mezzo mondo, i giornalisti distratti dagli sviluppi di cronaca ci hanno messo 24 ore a chiedersi “Ma se si sapeva chi erano, perché erano liberi di agire?”. Siamo in attesa di risposta. La seconda domanda, ancora non fatta è “Quanti altri ‘fratelli Kouachi’ girano liberi per la Francia?”.
Il giorno dopo una poliziotta viene freddata. Si dice subito che l’uomo è noto alle autorità, ma non viene diffusa l’identità e non scatta per lui la caccia all’uomo, cercando di capire se c’è un collegamento con la strage del Charlie.
Mentre poi i due fratelli Kouachi si barricano in una tipografia, l’assassino della poliziotta prende uccide e prende ostaggi in un supermercato. E non sarebbe da solo, “con lui ci sarebbe la sua ragazza”, anche lei armata, e ne viene diffusa l’identità. Poi scatta il blitz, e viene detto che “la ragazza è riuscita a fuggire”, ma nessuno fa scattare la caccia alla donna. Poi viene detto che “ha lasciato Parigi il giorno prima della strage”. Poi viene fuori che “si trova in Siria dal 2 gennaio, entrata passando per la Turchia”, ma viene comunque definita “figura centrale degli attentati terroristici di Parigi”.
Insomma, oltre a difendere la libertà di espressione, dovremmo difendere anche la verità. Da noi stessi, almeno.