Nell’era degli smartphone e dei social network, i cittadini possono utilizzare la tecnologia per fare informazione e documentare fatti e notizie. Con una foto o un video amatoriale direttamente postati online, anche senza un tesserino dell’albo professionale. Eppure chi lo fa potrebbe rischiare una denuncia da parte dell’ordine dei giornalisti per esercizio abusivo della professione e, quindi, fino a sei mesi di carcere. Il caso nasce a seguito di un esposto dell’ordine dei giornalisti del Friuli Venezia Giulia che ha denunciato una web tv di Pordenone. Si chiama PnBox, non è una testata registrata e mette a disposizione una piattaforma in cui gli utenti possono caricare video autoprodotti che vengono trasmessi gratuitamente, e che includono anche notizie di cronaca e politica, oltre ad appuntamenti di musica, arte e cultura in città. L’accusa più grave per cui è imputato l’amministratore delegato Francesco Vanin, è quella di avere diffuso “gratuitamente notizie destinate a formare oggetto di comunicazione interpersonale specie riguardo ad avvenimenti di attualità, politica e spettacolo”. In pratica, quello che centinaia di blog e cittadini fanno abitualmente quando postano video e foto sui social network. Inoltre, in quanto responsabile delle trasmissioni sulla webtv, secondo l’ordine avrebbe svolto “attività giornalistica non occasionale diffondendo gratuitamente notizie destinate a formare oggetto di comunicazione interpersonale specie riguardo ad avvenimenti di attualità politica e spettacolo relativi soprattutto alla provincia di Pordenone”. Vanin, però, non ha mai svolto attività giornalistica. Ha solo messo a disposizione una piattaforma. L’odg pare quindi sostenere che soltanto chi è munito di tesserino può fare informazione e diffondere notizie. Nonostante la sentenza 1907/10 della Cassazione, secondo cui le pubblicazioni online di una testata non registrata non sono soggette alla legge sulla stampa. “Mi aspettavo la denuncia – spiega Vanin – come tutte le corporazioni, anche l’Ordine dei giornalisti cerca di mantenere le sue rendite di posizione. Già il fatto che esista ancora è un’anomalia tutta italiana, nonché un retaggio dell’era fascista”. Ma quel che secondo l’amministratore della webTv è più grave è che “in base ai capi di accusa che mi sono stati imputati, anche chi scrive su Facebook può essere denunciato”. In pratica, “se mio figlio posta un video su YouTube rischia sei mesi di carcere”. E aggiunge che la registrazione come testata non è obbligatoria per chi “rinuncia alle provvidenze statali”. Una scelta, quella di non ricevere contributi pubblici, ” per continuare a essere liberi e indipendenti”.
Per Enzo Iacopino, presidente dell’odg nazionale, “essere testata giornalistica è soltanto un adempimento formale. Non conosco la questione specifica – puntualizza – ma se una piattaforma web trasmette notizie di politica e attualità con regolarità, allora si configura come canale informativo. Del resto che cosa fanno i giornalisti?”. Posizione peraltro condivisa da Pietro Villotta, presidente dell’ordine del Friuli che ha presentato l’esposto alla procura di Pordenone. “Non abbiamo nulla di personale contro Vanin e la sua tv – osserva – ma riteniamo che qualsiasi sito che si presenti ‘nella sostanza’ come informazione giornalistica debba rispettare la legge sulla stampa”. Una ‘sostanza’, però, senza confini e criteri chiari di definizione. “Esiste una zona grigia tra l’articolo 21 della Costituzione e la legge sulla stampa, dentro la quale rientrano blog e piattaforme online. Anche chi pubblica i video su YouTube fa divulgazione”. E se lo fa regolarmente, secondo l’ordine, è passibile di segnalazione, anche se tratta di “questioni aperte su cui deciderà il legislatore”. Per Villotta “tutto dipende dalla periodicità. Il nostro esposto è a tutela della categoria e dell’ordine. Se viene a meno la garanzia della legge sulla stampa siamo nella giungla”. Il citizen journalism è la ‘concorrenza sleale’ da condannare? “No. Ma se le piattaforme online, dalle web tv ai blog, fanno informazione continuativa, allora noi tuteliamo la categoria”.
Eleonora Bianchini, il Fatto Quotidiano |
Scagliare la prima pietra è sempre molto facile, soprattutto su bersagli come gli ordini professionali, che troppo spesso non sono realmente rappresentativi dei propri iscritti. Mi rendo conto che un discorso del genere fatto da un iscritto all’Ordine dei giornalisti (proprio quello del Friuli Venezia Giulia, la pietra dello scandalo) può sembrare un semplice tentativo di tutela dei benefit acquisiti (quali poi non è dato saperlo, vista la mia condizione di freelance squattrinato), ma non è così. L’Ordine dei giornalisti ha infatti tutte le ragioni per esistere anche se troppo spesso i singoli ordini regionali (dato che l’Odg è strutturato su base regionale) disattendono le proprie funzioni, tra cui anche quelli di garantire che gli iscritti rispettino i principi deontologici di una professione non certo facile da esercitare (soprattutto in un momento come quello attuale) e sanzionare i comportamenti scorretti. L’articolo 21 della Costituzione è un caposaldo della libertà di espressione ed informazione e certamente deve essere rispettato, ma in merito al caso della web tv pordenonese credo che nel momento in cui l’informazione viene diffusa in maniera continuata e con cadenza regolare debba sottostare alla “Legge sulla stampa”. Operare nel campo dell’informazione non è facile e per farlo (in maniera corretta) si devono tenere in considerazioni molte norme profondamente giuste (solo per citarne una la tutela dei diritti dei minori) e quindi l’iscrizione all’Albo dei giornalisti dovrebbe garantire proprio la conoscenza di tali regole. Negli ultimi anni c’è stata grande attenzione al citizen journalism, ma ritenerlo la soluzione di tutti i problemi dell’informazione italiana è a dir poco utopistico. Forse sarebbe più utile se chi si scaglia con forza contro “la casta dei giornalisti” facesse uno sforzo maggiore per comprendere la situazione di forte difficoltà nella quale sono costretti a lavorare la maggior parte dei giornalisti, ovvero i collaboratori ed i freelance, che con il proprio operato garantisco l’uscita dei giornali e la messa in onda dei telegiornali certamente non sentendosi parte di alcune casta se non di quella dei paria (gli intoccabili nel senso letterario del termine, dato che sono quasi tutti lebbrosi). L’informazione è infatti un settore che richiede competenza e specializzazione (che dovrebbero appunto essere garantite dall’iscrizione all’albo) le quali possono essere ottenute solo con il sudore della fronte, tanta voglia di fare esperienza e molta molta molta passione, spesso conditi dagli sguardi (nel migliore dei casi) di disapprovazione di mogli, mariti, fidanzati/e, compagni/e che chiedono semplicemente di poter passare una domenica senza vedere la propria metà strisciare fuori dal letto per andare al lavoro e fare ritorno solo sera inoltrata. In conclusione, quindi, credo che questioni di ampia portata come l’abolizione dell’Ordine dei giornalisti meriterebbero di essere approfondite e discusse in maniera seria senza lanciarsi in un crociata sulla base di un singolo fatto come quello della web tv pordenonese.
Mattia Assandri
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Ovviamente non sono d’accordo. Credo che il caso di questa WebTv dimostri quanto l’istituzione dell’OdG sia obsoleta per l’attuale scenario mediatico che distingue sempre di meno tra comunicazione e informazione.
Se non si smantella (si riforma?), l’OdG crollerà da solo non prima di aver fatto molti danni…
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